Ci sono due punti di vista, per me.
Il primo, è che le donne dovrebbero scollarsi di dosso la responsabilità di farsi belle per gli altri, e quindi dovrebbero poter decidere liberamente se tingersi o meno, ma anche se truccarsi o vestirsi in un certo modo. Capaci di essere se stesse.
Il secondo, è che le donne dovrebbero piacere a se stesse e, perché no?, sentirsi anche carine e valorizzarsi al meglio. Per essere femministe non occorre mortificare il proprio aspetto.
Stai a vedere che la via di mezzo è sempre la migliore?
Secondo me il problema non sta nei capelli tinti o meno, ma nel mito dell’eterna giovinezza. Nella nostra società si mira a voler sembrare giovani fino alla fine, ricorrendo a tinture per capelli, lifting, plastica, indumenti che tirano su cosa è già caduto, pillole che ci mantengono giovani.
Dovremmo smetterla di avere paura della morte: siamo nati per vivere e morire, per fare un percorso inevitabile. A cosa serve preoccuparsene, se è una certezza?
E se invece l’unica cosa sensata fosse invecchiare con stile?
Avere una bella pelle, anche con le proprie rughe: la pelle di chi non ha fumato, non ha preso troppo sole e ha sempre messo la crema idratante.
Avere dei bei capelli curati, con il taglio giusto: sempre ben puliti, con un taglio che valorizza il nostro nuovo viso, e non che lo mortifica (obiettivamente la Bignardi ha un taglio così?), con un colore che si avvicina a quello naturale, o anche con una colorazione grigia che mette in risalto i nostri occhi e lineamenti. Ci sono donne bellissime in grigio, e donne che davvero con il grigio vengono mortificate: saremo mica tutte uguali?
Indossare bei vestiti, anche low cost, ma adatti al nostro nuovo corpo: linee morbide, tagli perfetti, pantaloni a sigaretta che sottolineino le curve senza evidenziare – magari – il sedere un po’ svuotato o i fianchi un po’ larghi.
Insomma: non dobbiamo per forza assumere l’aspetto di una gattara (con tutto il rispetto) per dimostrare di essere femministe.
Essere belle, sentirci belle: questa è la cosa sana. Sentirci belle per fare piacere a noi stesse, per stare bene nel mondo, per svegliarci contente al mattino.
Non dobbiamo dimostrare nulla, ma nemmeno al contrario dobbiamo fare la predica a chi fa scelte diverse dalle nostre. Non è un capello grigio che determina la serietà o professionalità nel nostro lavoro, non è mortificando il nostro corpo in abiti maschili, che prendiamo potere. E viceversa non è mostrando le tette o cercando di toglierci di dosso tutte le imperfezioni.
Siamo imperfette, questa è la verità.
Ed è anche il bello della faccenda.
Solo che, quando ci guardiamo allo specchio non ce lo ricordiamo, e critichiamo il nostro corpo e il nostro viso, cercando di assomigliare a qualcuno che non siamo.
Invece lo stile è lì, dentro di noi, e l’unico modo per riappropriarsene è valorizzare ciò che abbiamo, e potenziare le nostre qualità.
Quelli fighi lo chiamano empowerment, io lo chiamo felicità.