Ci sono due punti di vista, per me.
Il primo, è che le donne dovrebbero scollarsi di dosso la responsabilità di farsi belle per gli altri, e quindi dovrebbero poter decidere liberamente se tingersi o meno, ma anche se truccarsi o vestirsi in un certo modo. Capaci di essere se stesse.
Il secondo, è che le donne dovrebbero piacere a se stesse e, perché no?, sentirsi anche carine e valorizzarsi al meglio. Per essere femministe non occorre mortificare il proprio aspetto.
Stai a vedere che la via di mezzo è sempre la migliore?
Secondo me il problema non sta nei capelli tinti o meno, ma nel mito dell’eterna giovinezza. Nella nostra società si mira a voler sembrare giovani fino alla fine, ricorrendo a tinture per capelli, lifting, plastica, indumenti che tirano su cosa è già caduto, pillole che ci mantengono giovani.
Dovremmo smetterla di avere paura della morte: siamo nati per vivere e morire, per fare un percorso inevitabile. A cosa serve preoccuparsene, se è una certezza?
E se invece l’unica cosa sensata fosse invecchiare con stile?
Avere una bella pelle, anche con le proprie rughe: la pelle di chi non ha fumato, non ha preso troppo sole e ha sempre messo la crema idratante.
Avere dei bei capelli curati, con il taglio giusto: sempre ben puliti, con un taglio che valorizza il nostro nuovo viso, e non che lo mortifica (obiettivamente la Bignardi ha un taglio così?), con un colore che si avvicina a quello naturale, o anche con una colorazione grigia che mette in risalto i nostri occhi e lineamenti. Ci sono donne bellissime in grigio, e donne che davvero con il grigio vengono mortificate: saremo mica tutte uguali?
Indossare bei vestiti, anche low cost, ma adatti al nostro nuovo corpo: linee morbide, tagli perfetti, pantaloni a sigaretta che sottolineino le curve senza evidenziare – magari – il sedere un po’ svuotato o i fianchi un po’ larghi.
Insomma: non dobbiamo per forza assumere l’aspetto di una gattara (con tutto il rispetto) per dimostrare di essere femministe, né probabilmente girare conciate come Donald Trump al femminile.
Essere belle, sentirci belle: questa è la cosa sana. Sentirci belle per fare piacere a noi stesse, per stare bene nel mondo, per svegliarci contente al mattino.
Non dobbiamo dimostrare nulla, ma nemmeno al contrario dobbiamo fare la predica a chi fa scelte diverse dalle nostre. Non è un capello grigio che determina la serietà o professionalità nel nostro lavoro, non è mortificando il nostro corpo in abiti maschili, che prendiamo potere. E viceversa non è mostrando le tette o cercando di toglierci di dosso tutte le imperfezioni.
Siamo imperfette, questa è la verità.
Ed è anche il bello della faccenda.
Solo che, quando ci guardiamo allo specchio non ce lo ricordiamo, e critichiamo il nostro corpo e il nostro viso, cercando di assomigliare a qualcuno che non siamo.
Invece lo stile è lì, dentro di noi, e l’unico modo per riappropriarsene è valorizzare ciò che abbiamo, e potenziare le nostre qualità.
Quelli fighi lo chiamano empowerment, io lo chiamo felicità.